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OVER THE CRISIS

di Vittoria Coen

Come può essere sufficiente anche una singola frase illuminante per definire una persona, ancora di più, e forse anche meglio, può farlo una semplice istantanea, un'immagine rubata.
L'istante è fulmineo, posa studiata o blitz che sia, ma è l'arte che lo ferma, a sua volta, consegnando a chi guarda la comunicazione che verrà per sempre.
E' questa io credo, la differenza fondamentale e preziosa fra lo scorrimento della "rete", per esempio, e il documento che solo una volontà o una forza negativa potrebbe cancellare, come è, del resto accaduto tante volte.
Le immagini che Barbara Nahmad fissa con il suo lavoro vogliono essere, profondamente, mai celebrative, agiografiche, non santificano e non demoliscono, raccontano con quel tanto di partecipazione che l'arte esige e offre.
Vi si legge la bellezza, le attrattive estetiche, quando ci sono, ma anche, e spesso, drammaticità, dubbio, perplessità, insieme con la stessa aggressività del tempo che non risparmia i tratti somatici ma, in compenso, valorizza l'intensità del vissuto senza indulgere a pesanti sottolineature di area lombrosiana, ma, al contrario, favorendo il senso di vicinanza che certe particolari immagini  ci ispirano.
Nella sua ricerca dei significati del volto l'artista non privilegia un tipo, non sceglie una specifica collocazione culturale, sociale. Vuole che la varietà, le differenze, i contrasti, appaiano come sono, che la verità e la poeticità siano evidenti insieme.
E' vero che, traendo l'immagine dal rotocalco, se ne ereditino, in un certo senso, impronte che essa ha già ricevuto dall'opera del fotografo. L'operazione strettamente artistica, però, si svolge su elementi empirici che acquistano la facoltà di essere letti ben più intimamente.
Nella sintetica galleria di immagini che qui leggiamo di persone, unite insieme da comunanza di studi e da interessi tutt'altro che astratti, ma sempre collegati alla responsabile pratica del concreto e del sociale, vive il lavoro di Nahmad.
Parliamo di Karl Marx, di John Maynard Keynes, e del recente protagonista del movimento innovativo del Bangladesh, che non è quello delle tesi trionfalistiche, il premio Nobel per la pace nel 2006, l'economista bengalese Muhammad Yunus.
Momenti diversi dell'economia capitalistica, generazioni a confronto, come si usa dire, affiorare di ceti sociali, di problemi, di crisi che devono essere risolte con coraggio e mente lucida.
I tre ritratti ci appaiono familiari, ed esprimono la medesima capacità di organizzazione del pensiero, dall'analisi fondamentale del capitalismo, alla specifica indagine sulle connessioni tra micro e macroeconomia, alle proposte di soluzioni concrete nell'associazionismo di base, per paesi come l'India o il Bangladesh, con i loro drammatici contrasti fra ricchezza emergente e povertà antica.
Questi volti parlano il linguaggio internazionale dell'arte, mentre riescono a vivere dentro la storia.

 
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